Cassazione: il commercialista non esonera dall’omessa dichiarazione

Il fatto che un determinato contribuente si avvalga di un professionista come il commercialista per i propri adempimenti fiscali non lo esime certo dalle proprie responsabilità nel caso di una omessa dichiarazione dei redditi o dell’Imposta sul Valore Aggiunto (Iva): è questa la conclusione che è stato possibile ricavare da una delle ultime sentenze della Corte di Cassazione, la quale risale ormai a più di una settimana fa. La pronuncia dei giudici di Piazza Cavour si è resa necessaria a causa dell’impugnazione da parte dello stesso soggetto contro un’altra sentenza, vale a dire quella della Corte di Appello di Roma. Nel dettaglio, questa persona era stata condannata per l’omessa dichiarazione dell’Iva nel 2002 e nel 2003, nel rispetto del dettato del Decreto legislativo 74 del 2000 (“Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”).

Cassazione: i titoli azionari giustificano l’accertamento sintetico

Ben due sentenze di aprile della Corte di Cassazione hanno sancito un importante principio per quel che concerne l’accertamento sintetico del reddito di una impresa: nel dettaglio, i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che il metodo induttivo è quello più azzeccato nel caso in cui vi sia un aumento di patrimonio che non è giustificato, ad esempio quando si provvede ad acquistare delle quote sociali e azionarie. In questo caso, quindi, rimangono valide anche quelle presunzioni semplici che non sono provviste dei tipici requisiti fissati dalla legge, vale a dire la precisione, la concordanza e la gravità. Gli elementi di specie, infatti, sottintendono che vi sia una disponibilità chiara di un reddito. La decisione si è resa necessaria alla luce di un fatto che ha visto coinvolte due contribuenti.

Cassazione: valida la confisca dei crediti nelle frodi carosello

La sentenza 15186 della Corte dei Cassazione risale allo scorso 19 aprile, ma ha una valenza rilevante dal punto di vista fiscale che è necessario approfondirla nel dettaglio: la pronuncia dei giudici di Piazza Cavour si è resa necessaria per dirimere i dubbi in merito a una vicenda legata alle cosiddette frodi carosello, vale a dire quando delle società fittizie vengono create col solo scopo di non pagare le tasse e in particolare l’Imposta sul Valore Aggiunto. Ebbene, gli “ermellini” hanno stabilito che nel caso di specie può ritenersi legittima la confisca di tutti quei crediti che sono vantati dalla società indagata nei confronti dell’altra. Il sequestro preventivo per fini di confisca era stato disposto dal Gip (Giudice per le Indagini Preliminari), alla luce di una inchiesta che aveva appurato le frodi carosello in questione, sfruttate con il preciso intento di beneficiare di crediti Iva fittizi.

L’Iva evasa può essere compensata con la confisca dei beni

La Corte di Cassazione ha introdotto un nuovo ragionamento giuridico molto importante per quel che concerne l’Imposta sul Valore Aggiunto: in effetti, secondo quanto stabilito dai giudici di Piazza Cavour, può diventare anche legittima la confisca di quei beni che sono in possesso dell’imprenditore, se l’importo totale di questi ultimi è equivalente all’imposta che è stata evasa da una determinata società. Tra l’altro, gli “ermellini” hanno anche specificato come non debba esistere necessariamente un nesso di pertinenza tra il reato che è stato commesso e le somme che dovranno essere sequestrate. La pronuncia in questione si è resa necessaria alla luce di una vicenda che aveva visto come protagonista un imprenditore. Il soggetto appena menzionato, infatti, si era macchiato di un omesso versamento dell’Iva, con conseguente sequestro e confisca dei propri libretti di risparmio, titoli azionari, fondi di investimento, oltre a i beni mobili e immobili, il tutto per una somma complessiva identica a quanto non versato alle casse dello Stato.

La Cassazione fa chiarezza sui beni culturali e le relative esenzioni

La sentenza 27192 della Corte di Cassazione risale ormai a un mese fa, ma ha una rilevanza fondamentale per quel che concerne l’ambito fiscale: essa ha infatti stabilito che l’esenzione dell’imposta di registro e di quella di successione sugli atti notarili non può essere trasmessa anche a quelli relativi al trasferimento. I giudici di Piazza Cavour sono dovuti intervenire proprio su tali tributi, cercando di fare ordine sulle imposte catastali e ipotecarie e il trasferimento dei beni culturali. Tutto è nato a seguito a un ricorso contro una decisione della nostra amministrazione finanziaria: quest’ultima era stata protagonista di un silenzio rifiuto per quel che concerne la richiesta di rimborso di queste specifiche imposte.

La Cassazione interviene sulle fatture fiscali false

Le fatture fiscali false dal punto di vista soggettivo, vale a dire quelle che si riferiscono a operazioni commerciali reali ma tra soggetti diversi, non comportano il reato di dichiarazione fraudolenta: a stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con una sentenza che risale a tre giorni fa e che ha messo in luce una casistica ben precise. In effetti, quando si ha a che fare con cartelle di pagamento di questo tipo non si può provvedere a sequestrare i conti dell’imprenditore coinvolto, dato che i relativi importi non sono altro che dei normali costi che sono sostenuti dall’impresa. Di conseguenza, nessun soggetto dovrà rispondere di omessa dichiarazione, ma sarà sempre necessario dimostrare che gli stessi costi non oltrepassano il limite di punibilità per quel che concerne l’evasione fiscale (tale soglia è stata fissata in 77.468,53 euro).

Elusione e abuso di diritto: importante sentenza della Cassazione

L’elusione fiscale non riceve solitamente la stessa attenzione dell’evasione e questo per un motivo molto semplice: in effetti, tale pratica consiste in vari artifizi, peraltro legali, che consentono di pagare meno tasse. Una delle ultime ordinanze della Corte di Cassazione ha però aggiunto delle nuove disposizioni in tal senso. Come hanno stabilito i giudici di Piazza Cavour, una contestazione che si basa sull’abuso di diritto è legittima, a patto che non vi sia una prova contraria. Lo stesso abuso, inoltre, rappresenta una clausola generale antielusiva. Cerchiamo di approfondire la questione. L’ordinanza degli “ermellini” si è resa necessaria dopo che l’Agenzia delle Entrate aveva contestato due operazioni in quanto elusive: in pratica, un contribuente aveva donato la proprietà di un terreno da edificare in favore del coniuge e dei figli, per poi vendere lo stesso a dei soggetti terzi.

Nuovo intervento della Cassazione sulle cartelle “mute”

La disciplina delle cosiddette cartelle esattoriali “mute” dura ormai da diverso tempo: come è noto, si tratta di quelle cartelle che sono state emesse prima di una determinata data e che sono prive dell’indicazione del responsabile del procedimento. L’ultimo chiarimento è giunto direttamente dalla Corte di Cassazione, la quale pochi giorni fa ha spiegato come l’unica opposizione da realizzare attraverso questo strumento sia quella relativa all’esecuzione dell’articolo 615 del codice di procedura civile (“Forma dell’opposizione”), ma soltanto nel caso in cui la somma di denaro coinvolta è stata già iscritta a ruolo. La pronuncia dei giudici di Piazza Cavour si è resa necessaria alla luce del ricorso di un contribuente, il quale si era opposto a delle cartelle mute che erano state notificate nello specifico da Equitalia.

Cassazione, sentenza fondamentale sulle cartelle esattoriali

La Corte di Cassazione ha portato una ventata di chiarezza nella disciplina delle cartelle esattoriali: la pronuncia del 4 agosto di Piazza Cavour è stata molto chiara in questo senso, specificando che la cartella stessa non è necessaria nel caso di una pretesa che proviene dalla liquidazione della dichiarazione. Tutto è nato da una disputa tra Agenzia delle Entrate e Commissione Tributaria Regionale del Lazio in merito alla illegittimità di una cartella emessa dopo un controllo automatizzato, a causa dell’assenza di motivazioni. Queste ultime sono obbligatorie sempre secondo la Suprema Corte, visto che stiamo parlando di un atto attraverso cui il contribuente conosce la pretesa del Fisco.

Equitalia: niente cartella esattoriale per le bollette dell’acqua

I rapporti tra la società di riscossione Equitalia e i contribuenti non sono mai stati troppo idilliaci: i dissapori, poi, sono stati accentuati da una delle ultime sentenze della Cassazione, la quale ha messo ben in luce come deve comportarsi la stessa spa. Anzitutto, bisogna ricordare che le tariffe incassate dal gestore del servizio idrico rappresentano dei corrispettivi di diritto privato. Inoltre, le fatture relative alla bolletta dell’acqua dei gestori del servizio non possono essere considerati alla stregua di titoli esecutivi; dunque, le società coinvolte in tal senso non possono pretendere una riscossione di tipo coattivo in tal senso.

Cassazione: chiarita la validità delle cartelle esattoriali

La Corte di Cassazione entra nel merito fiscale con una delle sue ultime sentenze: secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, la notifica delle cartelle esattoriali non può essere considerata invalida quando c’è stato l’invio di una raccomandata con avviso di ricevimento e quest’ultimo manca delle generalità del contribuente coinvolto. Il riferimento normativo di questa decisione è andato al Dpr 602 del 1973 (“Disposizioni sulla riscossione delle imposte di reddito”), con la precisazione che la notifica in questione diviene una realtà concreta anche quando non collaborano soggetti terzi, ma si assiste all’operazione diretta di un concessionario.

Liti tributarie pendenti: Chiusura veloce

L’Agenzia delle Entrate ha rilasciato la circolare n. 37/E del 21.06.2010 con la quale illustra le misure finalizzate alla deflazione del contenzioso tributario e alla razionalizzazione della riscossione dei tributi, cosi come previsto dal  D. L. n. 40/2010,.

Punto importante di tale D.L. è la definizione “veloce” delle liti tributarie pendenti dinanzi sia alla Corte di Cassazione che alla commissione tributaria provinciale, requisito fondamentale è che il contenzioso deve essere aperto da almeno dieci anni e nelle quali l’amministrazione finanziaria è soccombente.