Nessun tributo speciale per rocce e terre da scavi

Nel caso in cui degli scavi diano luogo a materiali di qualificazione complicata, allora bisogna affrontare anche discorsi di tipo fiscale: in effetti, i tipici esempi in questo senso sono quelli delle terre e delle rocce che derivano proprio da tali lavori. Non è un caso, quindi, che la Corte di Cassazione si sia trovata ad affrontare un caso relativo all’applicazione del tributo speciale per il deposito in discarica di rifiuti solidi. Non si tratta semplicemente di avere a che fare con una autorizzazione unica ambientale. In effetti, i giudici di Piazza Cavour ha affrontato una discussione molto ampia.

La Cassazione interviene in merito all’imposta sulla pubblicità

La Corte di Cassazione ha espresso un parere molto interessante in merito alla cosiddetta imposta sulla pubblicità: in effetti, i giudici di Piazza Cavour hanno dovuto pronunciarsi in merito alla relativa determinazione della base imponibile di tale tassa, più precisamente quando vi è l’affissione con degli impianti pubblicitari o con altri mezzi. È quantomeno singolare, comunque, che vi sia stata questa sentenza proprio nel momento in cui la pubblicità dei giochi sui media ha beneficiato delle novità per il 2013. L’applicazione di questa imposta viene disciplinata dal punto di vista normativo dal Decreto legislativo 507 del 1993 (“Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province”).

Niente regime del margine Iva per il leasing di autoveicoli

Tutte quelle società che sono attive nell’autonoleggio e nel leasing di vetture non possono beneficiare del cosiddetto regime del margine, utile ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto: lo ha stabilito la Corte di Cassazione, secondo cui i beni in questione vengono usati per una attività d’impresa, dunque si ritiene probabile che l’imposta in questione venga detratta al momento dell’acquisto. Tali attività erano già salite agli onori della cronaca fiscale all’inizio di quest’anno, con lo spesometro che riguardò anche il leasing e il noleggio. Stavolta, i giudici di Piazza Cavour hanno optato per la non applicabilità dell’agevolazione tributaria.

La cartella senza responsabile può essere valida

La Corte di Cassazione è intervenuta circa due settimane fa per risolvere una situazione che ha visto coinvolta la nostra amministrazione finanziaria e un contribuente: secondo i giudici di Piazza Cavour, l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Agenzia delle Entrate non è previsto e richiesto, a pena di una nullità degli atti stessi, come previsto espressamente dalla Legge 212 del 2000 (“Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”). Tutto è nato a seguito del ricorso del contribuente in questione che è stato accolto dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia; in pratica, la contestazione ha riguardato il versamento di Irpef e Irap nel 2004, visto che erano state definite come annullabili quelle cartelle prive di indicazioni in merito al responsabile del procedimento.

C’è elusione fiscale anche con la remissione del debito

Non ci si può opporre in alcun modo a una accusa di elusione fiscale quando la minusvalenza relativa alla cessione di partecipazioni è stata generata da una remissione del debito nei confronti della società che deve essere ceduta: secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, una operazione del genere non ha giustificazione economica, mentre l’unico scopo da raggiungere è quello di aumentare il valore dei titoli azionari della società che ne beneficia; in effetti, le azioni in questione vengono vendute a un prezzo inferiore e questo provoca la costituzione di una minusvalenza del tutto deducibile.

Per accertare le frodi carosello bastano gli indizi presuntivi

Con il termine “frode carosello” si intende solitamente quel meccanismo fraudolento dell’Imposta sul Valore Aggiunto realizzato attraverso passaggi di beni che provengono ufficialmente da un paese dell’Unione Europea. La Corte di Cassazione è più volte intervenuta su tale fattispecie, in particolare lo scorso mese di maggio, quando ha ritenuto valida la confisca dei beni in queste occasioni. Una recente pronuncia, sempre dei giudici di Piazza Cavour, ha ulteriormente ampliato gli approfondimenti in questione. Secondo gli “ermellini”, infatti, la frode carosello può essere contestata dall’amministrazione finanziaria per quel che riguarda il recupero dell’Iva detratta in modo indebito, anche quando vi sono delle semplici presunzioni.

Le ultime decisioni fiscali sui piani di stock option

Una delle ultime sentenze della Corte di Cassazione ha riguardato da vicino il tema relativo alle stock option: secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, c’è bisogno di una distinzione dei momenti in questione, vale a dire quello in cui si assegna il diritto di opzione e quello in cui si verifica l’esercizio stesso. Questa decisione è motivata col fatto che le azioni sottostanti diventano parte del patrimonio del dipendente quando l’opzione viene esercitata oppure ceduta, di conseguenza la disciplina che bisogna applicare è quella in vigore al momento dell’esercizio.

L’amicizia non giustifica la sottrazione fiscale fraudolenta

La Corte di Cassazione è tornata a occuparsi di questioni fiscali, più precisamente di un reato di cui non si sente parlare molto spesso, quello che prevede la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: in pratica, esso è previsto espressamente dall’undicesimo articolo del Decreto legislativo 74 del 2000 (“Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”) ed è riassumibile nella simulazione dell’alienazione di un immobile da parte del contribuente subito dopo aver ricevuto la notifica di una cartella di pagamento.

La Cassazione interviene su modelli cartacei e telematici

Quando la dichiarazione dei redditi viene trasmessa attraverso la modalità elettronica (mediante il pc per intenderci), la pretesa impositiva ha senso di esistere anche quando il contribuente sostiene che gli importi non sono conformi ai dati che sono stati inseriti nel documento originale e in formato cartaceo: è questo il succo della recente sentenza della Corte di Cassazione, una pronuncia che risale allo scorso 27 luglio per la precisione. Questo vuol dire che il soggetto coinvolto ha l’obbligo di conservare in ogni caso il documento cartaceo originale, senza preoccuparsi di andare oltre i limiti temporali che di solito sono fissati dai Caf (Centri di Assistenza Fiscale).

Evasione, legittime le indagini sui familiari dei soci

L’evasione fiscale è un argomento attuale come non mai, dunque si può ben capire l’importanza di una delle ultime sentenze della Corte di Cassazione: secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, i sospetti relativi all’evasione dell’Iva possono comportare la richiesta alle banche dell’accesso ai rapporti intestati a una società di capitali, ma anche a tutti quei conti e quei depositi che sono intestati ai soci, perfino quelli non amministratori. Nell’ipotesi, poi, di una componente sociale non molto allargata, allora le indagini finanziarie possono arrivare a coinvolgere i familiari dei soci in questione.

La detraibilità dell’Iva per le auto aziendali a uso promiscuo

La Corte di Cassazione offre spesso delle pronunce che sono molto interessanti per l’intero ambito tributario: basti pensare alla sentenza che risale allo scorso 13 luglio, quando i giudici di Piazza Cavour hanno stabilito che l’Imposta sul Valore Aggiunto che deve essere applicata sulle auto aziendali a uso promiscuo può essere detrattata esclusivamente in caso di una dimostrata inerenza con l’attività d’impresa. In questa maniera, gli ermellini hanno di fatto dato ragione alla nostra amministrazione finanziaria, la quale aveva inoltrato uno specifico ricorso contro una società intenzionata a ottenere il rimborso dell’Iva proprio per queste vetture.

Il contribuente deve dimostrare l’inapplicabilità degli studi di settore

Può accadere in alcuni casi che il Fisco decida di rettificare la dichiarazione dei redditi applicando gli studi di settore: di conseguenza, sarà il contribuente coinvolto a dedurre i rilievi specifici e a dimostrare che vi sono delle condizioni e dei motivi ben precisi alla base dell’esclusione dell’azienda dall’area di applicazione di tali parametri. È questo in sintesi il contenuto di una delle ultime ordinanze della Corte di Cassazione.

La stabile organizzazione delle società straniere in Italia

La sentenza 20676 della Corte di Cassazione è entrata nel merito della stabile organizzazione, uno dei requisiti fondamentali quando si parla di Irap (Imposta Regionale sulle Attività Produttive): secondo gli “ermellini”, infatti, tale elemento viene a configurarsi in merito a una società straniera che si trova in Italia quando si certifica l’affidamento della cura degli affari nel territorio del nostro paese a una struttura che può avere o meno la personalità giuridica. Il caso era stato creato dal sequestro preventivo di alcuni beni di una società a responsabilità limitata, con tanto di procedimento penale ai danni di un imprenditore. Le accuse mosse sono state quella di omessa dichiarazione e di sottrazione fraudolenta al versamento dei tributi. In pratica, era stato riconosciuto come legittimo l’intero sequestro, così come l’intera attività condotta dalla Finanza dal punto di vista ispettivo.

Dichiarazioni fraudolente: le responsabilità dei contribuenti

Una dichiarazione dei redditi non fedele alla realtà e presentata da un intermediario fiscale può comportare delle conseguenze non certo piacevoli per il contribuente: in effetti, nel caso in cui l’intermediario stesso sia stato condannato penalmente per truffa, allora il dichiarante dovrà ancora pagare la somma dovuta, con tanto di una maggiorazione per gli interessi, ma senza alcuna sanzione pecuniaria. La Corte di Cassazione si è espressa in questa maniera con la propria sentenza 8630 di quasi due settimane fa. Tutto è nato da una vicenda che ha visto coinvolto un contribuente; quest’ultimo ha impugnato una cartella di pagamento, la quale gli era stata notificata a causa di un controllo formale della propria dichiarazione. La richiesta del Fisco è stata quella di pagare le somme a titolo dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef).