Che aprire un’impresa in Italia e farla sopravvivere in mezzo alla giungla di leggi e regolamenti spesso astrusi sia complicato, è cosa arcinota. Ma l’ultima graduatoria proveniente dalla Banca Mondiale offre risultati sconfortanti.
La graduatoria pende in considerazione numerosi parametri, dai tempi necessari per aprire un’impresa a quelli per chiuderla, dalla flessibilità del lavoro all’accesso al credito, dalla pressione fiscale al grado di corruzione.
La media ponderata di questi fattori non lascia dubbi: l’Italia è bocciata sonoramente, classificandosi al 65° posto in una graduatoria di 181 nazioni.
Davanti a noi ci sono, come era facile immaginare, quasi tutti i Paesi occidentali, ma alcune posizioni in classifica lasciano stupiti, dal 13° posto della Thailandia al 15° della Georgia, fino al sorprendente 1° posto detenuto saldamente ormai da diversi anni da Singapore (seguito da Nuova Zelanda e Stati Uniti).
Insomma, il aprire un’impresa in Italia sembra davvero difficile.
Il fattore che più pesa in negativo è la lentezza della giustizia civile (il nostro Paese è addirittura 156°), ma anche il macigno della tassazione e le rigidità amministrative si fanno sentire.
Comunque, il fatto che l’Italia sia stata bocciata dalla Banca Mondiale nell’aprire un’impresa è un risultato che va preso con le molle: i diversi fattori presi in considerazione sono molto eterogenei e difficili da mettere a confronto, senza contare che non è ben chiaro il peso attribuito a ciascuna di essi all’interno del calcolo.
Fonte Sole 24 Ore