Le aziende e le imprese che sono costrette a chiudere la loro attività per fallimento o qualsiasi altra motivazione rappresentano un problema di non poco conto: tanto più che una sentenza di cinque giorni fa da parte della Corte di Cassazione ha aggiunto un nuovo tassello a questa fattispecie. Nello specifico, è l’aspetto contabile quello che va monitorato con la massima attenzione. In effetti, il pericolo è rappresentato da quelle fatture ricevute appunto da aziende destinate in maniera inesorabile alla chiusura: cosa accade esattamente? Secondo la pronuncia numero 19530 dei giudici di Piazza Cavour, il fatto che i fornitori commerciali non possano garantire una lunga esistenza dal punto di vista della durata temporale costituisce una vera e propria frode carosello (particolarmente diffusa nel settore automobilistico e dei beni ad alto valore aggiunto), una delle forme più diffuse di elusione del fisco.
In pratica, il caso in questione ha riguardato da vicino un ricorso avanzato dalla nostra amministrazione finanziaria, visto che si era compreso immediatamente che la ricezione di fatture fiscali da parte di compagnie che aprono e poi sono obbligate a dichiarare una rapida chiusura di attività rappresentasse una presunzione di frode tributaria e, di conseguenza, una detrazione non legittima dei costi coinvolti.
Chi non ha visto riconosciute le proprie ragioni e motivazioni è stata la Commissione Tributaria Regionale di Bologna, la quale aveva sempre precisato come non si potesse parlare di una frode reale, visto che i pagamenti posti in essere tra le aziende erano comunque esistenti e che i fornitori stessi potevano beneficiare della rappresentanza della società a tutti gli effetti. D’altronde, una sentenza simile poteva essere intuita in anticipo, dato che la Cassazione aveva sostenuto non molti giorni fa che una fattura falsa costituisce un abuso di diritto: ora c’è questa ennesima decisione che si muove nella medesima direzione dal punto di vista delle frodi e delle elusioni fiscali.
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