E’ stata avviata la nuova prassi che consente agli investitori esteri di fissare con il Fisco italiano un’intesa in base alla quale determinare in via preventiva quanto devono versare di tasse in Italia. L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato il provvedimento con le specifiche tecniche, in base a quanto stabilito dal governo con il decreto legislativo sull’Internazionalizzazione della scorsa estate, che punta a diminuire il gap fiscale tra l’Italia e altri regimi europei.
Sono tanti i casi noti di Irlanda e altri sistemi fiscali, che sono riusciti ad attirare colossi internazionali offrendo loro vantaggi in termini di tassazione. Prassi, in alcune casi grigie (come ha messo in luce il caso Luxleaks), che hanno generato un’ondata di regolamentazione ai più alti livelli mondiali, dall’Ocse a Bruxelles, passando per il G20.
Con le indicazioni delle Entrate si definisce la nuova prassi che consente di definire in anticipo con il Fisco il livello di tassazione di specifiche operazioni: il regime dei prezzi di trasferimento (il transfer pricing); la determinazione dei valori di uscita o di ingresso in caso di trasferimento della residenza; l’attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione; la valutazione preventiva della sussistenza dei requisiti che configurano una stabile organizzazione; l’erogazione o percezione di dividendi, interessi, royalties e altri componenti reddituali.
Al fine di attivare la procedura, specifica il provvedimento pubblicato dalle Entrate, serve una richiesta via raccomandata all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali, presso le sedi di Roma e Milano dell’Agenzia. Nella lettera, oltre alle generalità della filiale italiana e della collegate estere, le società dovranno descrivere le attività e le componenti del reddito d’impresa per le quali si domanda di stipulare l’accordo con il Fisco italiano. Dopo un mese di tempo, ci sarà la risposta sull’ammissibilità o meno della richiesta (fatta salva la possibilità di integrare domande incomplete); a quel punto, partirà il colloquio diretto tra i rappresentanti della società e quelli dell’Erario.
Dopo la parte istruttoria, le Entrate chiamano l’impresa per controllare le informazioni comunicate e – nel giro di sei mesi dal ricevimento della richiesta – deve arrivare a termine. Il rappresentante dell’impresa e dell’Ufficio, terminato l’iter, sottoscrivono l’accordo vincolante che vale per l’esercizio fiscale corrente e i quattro successivi. Un procedimento leggermente diveso, con tanto di ‘ispezioni’ presso le sedi operative della società in questione, è previsto per valutare se sussitano o meno i requisiti per una “stabile organizzazione” da parte della multinazionale sul territorio italiano.
A valle dell’intesa tra società e Fisco, si prevede che la prima metta a disposizione dei funzionari la documentazione utile a verificare che tutto venga svolto, a livello contabile, come da accordi, anche attraverso verifiche sul campo delle Entrate sesse. Nel caso di mancanza di collaborazione, se non di palese violazione degli accordi, si potrà rompere l’intesa con una comunicazione ad hoc e dando un mese di tempo alla controparte perché fornisca la documentazione necessaria a proseguire l’accordo. Prevista anche la possibilità di modifica dell’accordo o di rinnovo: in quest’ultimo caso la società deve farne richiesta tre mesi prima della scadenza naturale.