La decisione governativa di tagliare le tasse sulla prima casa è stata seguita da riflessioni di varia natura da parte di economisti e istituzioni sull’opportunità o meno di agire su un’imposta di tipo patrimoniale, piuttosto che andare subito a cercare di tagliare il costo del lavoro o il cuneo sulle attività produttive.
Da Bruxelles alla Corte dei Conti, tutti rammentano che proprio l’incidenza del fisco sul patrimonio è quella meno contraria alla crescita economica, che è invece zavorrata da tasse sul lavoro e sulle imprese. Ed è per questo che non sono mancate le critiche agli annunci del governo, che si augura di agire – come accaduto con il bonus Irpef – sui consumi (oltre che sugli elettori).
Con l’abolizione della Tasi, la cui decisione è attesa nella prossima stabilità, si andrà ad interrompere una tendenza degli ultimi anni, cioè dello spostamento del carico fiscale verso il patrimonio. A ripetere ancora una volta il concetto sono stati negli ultimi giorni i calcoli della Cgia di Mestre, secondo la quale l’anno scorso le imposte patrimoniali sono costate agli italiani la cifra record di 48,6 miliardi di euro.
Durante gli ultimi 25 anni, la loro incidenza sul Pil è raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di quasi 5 volte. Secondo l’associazione degli artigiani, se quest’anno si attende un gettito stabile, dal 2016 dovremmo registrare una decisa inversione di tendenza. Il commento, a riguardo, degli esperti:
Se il governo confermerà l’abolizione delle tasse che gravano sulla prima casa, dell’Imu agricola e quella sugli imbullonati nel 2016 dovremmo risparmiare 4,6 miliardi di euro: vale a dire uno sconto che sfiora il 10 per cento.