La voracità del Fisco italiano non si discute, ma il suo peso comincia a diminuire. Almeno nei riguardi delle piccole imprese, che sono poi la stragrande maggioranza nel nostro Paese.
Dati che vanno messi a verbale e che meritano una riflessione.
Secondo il Rapporto 2015 dell’Osservatorio Cna, curato dal centro studi e dal dipartimento politiche fiscali della confederazione, l’anno in corso segna un cambio di rotta, con il Total tax rate (il peso complessivo della fiscalità) che scende dell’1,7% a quota 62,2%. Un risultato dovuto interamente all’abolizione della componente lavoro dell’Irap. Il progresso sarebbe stato ben più corposo se non fosse stato dimezzato dal maggior prelievo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dei contributi previdenziali degli imprenditori (Ivs). Infatti, il taglio dell’imposta sulle attività produttive si è trasformato in reddito d’impresa, quindi immediatamente soggetto all’Irpef.
Il peso del federalismo fiscale. Nonostante il calo in corso, l’incidenza del Fisco rimane ben al di sopra del 59,2% raggiunto nel 2011, l’anno zero del federalismo fiscale. Il nuovo sistema ideato per avvicinare le istituzioni ai cittadini alla prova dei fatti ha prestato il fianco a nuovi inasprimenti sul reddito d’impresa. “Se i sindaci decidessero di compensare i tagli, già stabiliti, dei trasferimenti dello Stato centrale, rimettendo mano ai tributi locali”, ragionano dalla Cna, “potrebbero attenuare fino a farlo scomparire il beneficio fiscale indotto dal taglio dell’Irap”.
Dallo studio emergono, grandi differenze tra le 113 città italiane radiografate dall’Osservatorio, dovute soprattutto alla variabilità dei valori catastali degli immobili di impresa, su cui vengono calcolate Imu e Tasi, e alle sensibili differenze della tassazione sui rifiuti solidi urbani (la Tari).