Dal 1 gennaio 2011 è –teoricamente – in vigore il divieto di commercializzare buste di plastica tradizionali. Un provvedimento che dovrebbe generare un netto favore verso gli shopper in materiale biodegradabile, e che potrebbe tuttavia subire un nuovo stop alla normativa. Da gennaio chi commercializza shoppers, fuori norma (con spessore inferiore ai 60 micron) dovrà infatti pagare dai 2.500 ai 100 mila euro, con il decreto Sviluppo che ha così anticipato – di fatto – l’entrata in vigore delle sanzioni di un anno rispetto alla legge 28/2012.
Tuttavia, riportava pochi giorni fa il quotidiano Italia Oggi, “ci sarebbe un rischio concreto di chiusura delle attività per i piccoli e i medi produttori, e una perdita di migliaia di posti di lavoro. Per questo la norma cambierà: molti sono gli interessi in gioco, e la posizione del governo non appare univoca. Da un lato l’Italia avrebbe fatto una fuga in avanti: in un primo tempo non ha notificato alla Commissione la messa al bando dei sacchetti non biodegradabili. In seguito, avrebbe violato la direttiva Ue per aver mantenuto, nel decreto convertito in legge nel 2012, la messa al bando delle buste di plastica non biodegradabili. D’altra parte già quest’anno era stato approvato un decreto che prevedeva una sospensione del divieto di vendita dei sacchetti di plastica non biodegradabili. A preoccupare c’è poi l’aspetto occupazionale e produttivo, cui il ministero dello sviluppo economico sembra tenere maggiormente. Le aziende produttrici e trasformatrici di materiali plastici nel nostro paese sono più di cinquemila, quasi tutte piccole e medie aziende, e quelle con oltre i cinquanta addetti sono solo alcune centinaia”.
“Nel mondo produttivo” – prosegue Antonio Giancane, che si è occupato della vicenda – “le associazioni rappresentative delle aziende chiedono cambiamenti alla legge, alla luce della lettera che la Commissione europea ha recentemente inviato al nostro governo, invitandolo a conformarsi alla direttiva Ue che regola l’utilizzo dei sacchetti in plastica in Europa. Bruxelles ritiene che la legge italiana del 2012 non sia ancora in linea con la direttiva europea. Per questo la Commissione Ue ha deciso di inviare a Roma un richiamo aggiuntivo alla lettera di messa in mora del 4 luglio 2011 per la mancata notifica della decisione alla Ue”.