Con il termine “frode carosello” si intende solitamente quel meccanismo fraudolento dell’Imposta sul Valore Aggiunto realizzato attraverso passaggi di beni che provengono ufficialmente da un paese dell’Unione Europea. La Corte di Cassazione è più volte intervenuta su tale fattispecie, in particolare lo scorso mese di maggio, quando ha ritenuto valida la confisca dei beni in queste occasioni. Una recente pronuncia, sempre dei giudici di Piazza Cavour, ha ulteriormente ampliato gli approfondimenti in questione. Secondo gli “ermellini”, infatti, la frode carosello può essere contestata dall’amministrazione finanziaria per quel che riguarda il recupero dell’Iva detratta in modo indebito, anche quando vi sono delle semplici presunzioni.
L’accertamento, ad esempio, può scattare nel momento in cui non c’è magazzino, oppure la data della fattura non coincide con quella della consegna della merce. Tra l’altro, si tratta soltanto di uno degli ultimi fatti che configura la situazione, visto che giusto un anno fa con le aziende in chiusura si configurava proprio la frode carosello. La nuova sentenza si è resa necessaria alla luce di un controllo su operazioni intracomunitarie poste in essere da una società di persone in liquidazione che poi è fallita. La contestazione della stessa società si basava proprio sul fatto che gli elementi utili per gli accertamenti erano solamente presuntivi, senza alcuna prova dell’inesistenza delle operazioni, ma la Cassazione non ha voluto dare ragione al contribuente.
Di conseguenza, le frodi carosello possono essere contestate dal Fisco anche con la semplice prova dei fatti mediante presunzioni; tra le righe, si può leggere la volontà di contrastare in tutti i modi possibili tale fenomeno, come testimoniato perfettamente dal meccanismo rapido Qrm, utile proprio per venire incontro alla risoluzione delle frodi dell’Iva. Tra l’altro, il meccanismo in questione presuppone che vi sia la piena partecipazione da parte del soggetto beneficiario finale, un atteggiamento che può essere dedotto grazie a una serie di indizi, come già segnalato dalla Cassazione nel corso del 2010.