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Il Fisco su capannoni e case

Per comprendere come mai durante gli ultimi anni si sia speso un enorme numero di ore al fine di scrivere e riscrivere le norme che garantiscono la tassazione sulla prima casa è necessario guardare i numeri.

In questo modo capiremo come mai il Fisco ha nel mirino le case e i capannoni. Le abitazioni principali e le loro pertinenze rappresentano più della metà di tutti i fabbricati italiani. Si parla di una cifra che supera i 32 milioni di unità immobiliari registrate in catasto su un totale di 62.

Gli esperti sottolineano:

A partire dall’abolizione dell’Ici nel 2008 al debutto della Tasi nel 2014, passando per l’Imu e la mini-Imu, la fiscalità delle prime case interessa la maggior parte delle famiglie italiane (e quindi degli elettori). E questo spiega anche gli sforzi dei governi e dei sindaci per contenere la pressione fiscale sulle abitazioni principali, in uno scenario che ha visto passare le imposte sul possesso di immobili dai 9,2 miliardi del 2011 ai 25 dell’anno scorso. Ogni medaglia ha il suo rovescio, però, e in questo caso si tratta dell’aumento delle imposte sugli altri fabbricati, residenziali e non, da cui arriva l’80% del gettito. Le case affittate, quelle sfitte e quelle date in prestito ai parenti hanno subìto i ben noti rincari degli ultimi quattro anni.

E ancora superiori sono stati gli aumenti per i negozi, gli uffici e i fabbricati produttivi del gruppo catastale D (capannoni, impianti, centrali, cliniche, cinema). D’altra parte, gli immobili industriali offrono un bersaglio perfetto: posseduti per oltre la metà da persone giuridiche (società ed enti non commerciali), vantano una rendita catastale mediamente 20 volte più alta rispetto a quella delle case e – messi tutti insieme – giungono a una rendita pari a quella delle abitazioni principali, circa 10 miliardi di euro.

 

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