Non sono rari nel nostro paese i lavori saltuari o occasionali che sono svolti da soggetti sprovvisti della partita Iva: come ci si comporta in queste situazioni? Anzitutto, bisogna capire quale tipo di norme è necessario applicare per quel che riguarda le ritenute dell’Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche). Queste attività di lavoro autonomo occasionale sono realizzate senza che vi sia alcun tipo di organizzazione e in assenza di vincoli in merito alla subordinazione.
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Per questi due motivi, dunque, si fa rientrare il tutto in una categoria ben precisa vale a dire quella dei redditi diversi, come previsto espressamente dall’articolo 67 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir). Questo vuol dire che i compensi che vengono corrisposti per lo svolgimenti dei lavori in questione bisogna applicare una ritenuta d’acconto che ammonta al 20%, un compito che spetta direttamente al sostituto d’imposta.
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Tra l’altro, non bisogna confondere alcuni tipi di attività in questo caso. In effetti, esistono sia le prestazioni occasionali, ovvero quelle che non durano più di trenta giorni e che prevedono un compenso al massimo pari a cinquemila euro, sia i lavori autonomi occasionali in senso stretto, per i quali non si dà importanza al compenso totale e alla durata in termini temporali. La differenza non è certo marginale, in quanto solo nell’ipotesi di un reddito annuo che dipende da tali attività e che superi i cinquemila euro, chi svolge il lavoro autonomo occasionale è obbligato a iscriversi alla Gestione Separata dell’Inps, come previsto espressamente da una circolare dell’ente previdenziale che ormai risale al 2004. Il contributo che è a carico del lavoratore (un terzo per la precisione) può essere dedotto dal reddito quando si compila la dichiarazione dei redditi, senza che vi sia però una riduzione dell’imponibile fiscale. La ritenuta, infine, va applicata sul compenso al lordo di quella previdenziale.