Secondo le intenzioni del governo – contenute nella relazione di accompagnamento all’emendamento presentato in Commissione bilancio al Senato alla oramai “vecchia” legge di Stabilità – l’esecutivo vorrebbe ottenere 1,004 miliardi di euro nel 2013 dalla Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. Nel 2014 la somma attesa salirebbe invece a quota 1,214 miliardi di euro (+ 20%), per poi ridiscendere a quota 1,201 miliardi di euro nel 2015.

Ad ogni modo, e come spesso accaduto nel corso del recente passato, i numeri in questione sembrano essere piuttosto aleatori, visto e considerato – altresì – che la parte prevalente dell’introito, pari a 770 milioni di euro, dovrebbe giungere dalla negoziazione di azioni scambiate sui mercati over the counter, mercati non regolamentati dove vi è il serio rischio che grandi investitori si disaffezionino alle azioni italiane, divenute le più care d’Europa dopo quelle francesi (vedi anche Tobin Tax tutto quello che c’è da sapere).

Oltre a quanto sopra, vi è un ulteriore elemento di preoccupazione, legato alla struttura dei versamenti fiscali. L’investitore estero potrebbe infatti aver timore delle complicazioni legate ai meccanismi di calcolo e di versamento dell’imposta al fisco italiano.

Per quanto concerne i soli numeri statistici e previsionali forniti dal Tesoro, la componente azionaria dovrebbe produrre complessivamente 987 milioni di euro, i derivati 16 milioni di euro, mentre il trading ad alta frequenza dovrebbe assicurarne circa 400 mila (vedi anche Tobin tax opinoni banchieri).

La Tobin Tax, della quale abbiamo parlato diverse volte negli ultimi mesi, colpirà le azioni con una tassa dello 0,10%, e i derivati con una tariffa che cambia a seconda del valore del contratto. In caso di scambi fuori dai mercati regolamentati l’aliquota passa allo 0,20% sulle azioni, le tariffe sui derivati vengono invece quintuplicate con tariffa massima di 200 euro.

Vedremo dunque, nelle prossime settimane, quali saranno i primi passi applicativi per l’introduzione della Tobin Tax, che rischia di acuire ulteriormente la pressione fiscale percepita in territorio italiano, questa volta – però – in ambito finanziario.