Attenzione a gonfiare gli importi delle fatture attraverso l’ausilio della penna. Stando a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 44479 del 15 novembre 2012, infatti, scatta una pronta condanna per fatture false se gli importi sono “gonfiati” a mano. Ne consegue la possibilità di condannare l’imprenditore che abbia incrementato gli importi dei documenti contabili, con responsabilità penale da escludersi solamente nel caso in cui il contribuente imputato dimostri l’effettivo esborso di denaro.
La pronuncia della Suprema Corte, insomma, conferma la condanna a carico di un 67enne di Firenze “accusato per dichiarazione fraudolenta commessa mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti” – ricordava il 16.11 il quotidiano economico giuridico Italia Oggi – “Ad avviso degli Ermellini ha fatto bene la Corte fiorentina a confermare il verdetto di colpevolezza sancito dal tribunale. Infatti, spiega la sentenza, l’argomentare dei giudici di merito è semplice e lineare quando afferma che non solo gli importi delle fatture in possesso del contribuente risultano visibilmente ritoccati al rialzo rispetto agli originali reperiti nella contabilità dell’emittente, con evidente contraffazione manuale, ma anche l’imputato non è stato in grado di dimostrare in alcun modo quanto ha effettivamente pagato al suo fornitore trincerandosi dietro la giustificazione di avere di volta in volta pagato il corrispettivo in contanti” (vedi anche fatture con sconto segnale di elusione fiscale, uno dei nostri più recenti approfondimenti sull’aggiramento della normativa fiscale attraverso le fatture o le ricevute fiscali).
Nella sentenza la Cassazione sottolinea come l’onere della dimostrazione spetti al soggetto che beneficerebbe della difformità tra gli importi delle fatture conservate dall’emittente e dal destinatario, e come per “inchiodare” l’imprenditore sia sufficiente la verifica incrociata svolta dalla Guardia di Firenze.
Sarebbe del tutto irrilevante per la determinazione della soglia di punibilità dell’imposta evasa l’accertamento effettuato dalla commissione tributaria provinciale, poiché spetterebbe solo al giudice penale procedere ad accertamento e determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa.
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