Una delle novità più attese di fine anno è il termine di pagamento commerciale entro 30 giorni. Dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni dovranno pagare i fornitori entro 30 giorni, con possibile deroga fino a 60 giorni per gli enti e le imprese pubbliche che forniscono assistenza sanitaria, ovvero in casi eccezionali dipendenti dalla natura o dall’oggetto del contratto o da circostanze esistenti al momento della sua conclusione. Cerchiamo allora di comprendere cosa accade nell’ipotesi di ritardo, e quali sono le conseguenze in materia.
In caso di ritardo sostiene la novità normativa scatteranno in automatico gli interessi legali di mora ad un tasso pari a quello della Bce maggiorato dell’8%: un tasso evidentemente molto salato, perfino più elevato rispetto a quello stabilito dal dlgs 231/2002, che imponeva già in via generale di pagare entro un mese e fissava uno spread elevato (+7%) rispetto al tasso Bce, ma consentiva sia stabilire un termine superiore a quello legale, sia di fissare in diversa misura il tasso degli interessi dovuti nell’ipotesi di ritardato pagamento. L’abolizione delle deroghe dovrebbe indurre le pubbliche amministrazioni a una maggiore puntualità (qui invece come riscuotere i crediti certificati).
Ad ogni modo, non sono pochi gli ostacoli da arginare o superare. A pesare è soprattutto il Patto di stabilità interno, che rappresenta la principale causa dei ritardi e che dal 2013 si applicherà a tutti i comuni con più di 1.000 abitanti (finora la soglia è stata fissata a 5.000) e i continui tagli imposti agli enti territoriali dalle recenti manovre finanziarie. Insomma, in altri termini, nonostante la fissazione di scadenze così convenienti, le pubbliche amministrazioni potrebbero essere impossibilitate a regolare commercialmente i propri debiti.
La possibilità di superare questo nuovo impedimento potrebbe essere la certificazione dei debiti, pur – come spesso accade – senza indicazione della data di effettuazione del pagamento, ostacolando così le imprese nei rapporti con le banche.
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