La caparra e l’acconto di un determinato prezzo sono due momenti essenziali prima che sia perfezionato il vero e proprio contratto definitivo: in che modo, però, concorrono a determinare la base imponibile dell’Imposta sul Valore Aggiunto? Anzitutto, bisogna capire con precisione se queste due fattispecie possono essere considerate una sorta di anticipo del prezzo che è stato pattuito. Entrando maggiormente nel dettaglio, si può ricordare che la caparra confirmatoria è descritta dall’articolo 1385 del codice civile e prevede che sia consegnato del denaro, beni fungibili oppure la promessa del pagamento. La differenza tra essa e l’acconto sta nel fatto che quest’ultimo è un anticipo del prezzo stabilito, mentre la caparra non lo è.

In effetti, la caparra non è altro che un risarcimento in caso di inadempimento dal punto di vista contrattuale e, di conseguenza, anche una liquidazione convenzionale e anticipata del danno. Quando il versamento che si sta dettagliando è previsto dal contratto, allora occorre applicare l’imposta che è dovuta nel rispetto degli articoli 6 e 10 della tariffa del Tur (Testo Unico Imposta di Registro). Nell’ipotesi di una previsione relativa al pagamento di una somma in denaro a titolo di acconto e di una applicazione della stessa imposta di registro, allora l’aliquota da applicare è quella pari al 3% (articoli 9 e 10 dello stesso testo).

Lo stesso articolo 10, inoltre, precisa che il contratto preliminare può includere persino il versamento di somme a titolo di caparra applicatori con una aliquota fiscale pari allo 0,5%. Una volta perfezionato il contratto nella sua forma definitiva, le due fattispecie verranno imputate alla prestazione dovuta, pertanto saranno determinanti per la formazione della base imponibile. In effetti, la caparra tende a modificare la propria natura giuridica e diventa una sorta di acconto del prezzo di vendita per quel che riguarda il bene oppure il servizio (esecuzione e conclusione del contratto non devono essere contemporanei).