Le fatture fiscali false dal punto di vista soggettivo, vale a dire quelle che si riferiscono a operazioni commerciali reali ma tra soggetti diversi, non comportano il reato di dichiarazione fraudolenta: a stabilirlo è stata la Corte di Cassazione con una sentenza che risale a tre giorni fa e che ha messo in luce una casistica ben precise. In effetti, quando si ha a che fare con cartelle di pagamento di questo tipo non si può provvedere a sequestrare i conti dell’imprenditore coinvolto, dato che i relativi importi non sono altro che dei normali costi che sono sostenuti dall’impresa. Di conseguenza, nessun soggetto dovrà rispondere di omessa dichiarazione, ma sarà sempre necessario dimostrare che gli stessi costi non oltrepassano il limite di punibilità per quel che concerne l’evasione fiscale (tale soglia è stata fissata in 77.468,53 euro).

La pronuncia dei giudici di Piazza Cavour ha consentito proprio di risolvere il caso di un rappresentate di una società a responsabilità limitata, il quale si era visto sequestrare i conti, ma l’assenza di misura cautelare reale ha fatto svanire il tutto. Le precisazioni degli “ermellini” sono state diverse; in particolare, è stato sottolineato come la simulazione della vendita di quote societarie al fine di evadere le tasse rappresenta una vera e propria truffa aggravata nei confronti dello Stato, ma non si tratta di frode fiscale, visto che il contribuente non ha l’obbligo delle scritture contabili.

In aggiunta, un’altra sentenza della Suprema Corte ha stabilito che una notifica di un atto impositivo nei riguardi di un soggetto che si professa addetto al servizio del contribuente (ma non lo è nella realtà) è valida in tutto e per tutto; l’agente postale che svolge questa mansione, pertanto, non deve effettuare nessun tipo di verifica per comprendere se le dichiarazioni di chi riceve la fattura sono vere, una decisione che viene incontro alle rimostranze della nostra amministrazione finanziaria.